A distanza di pochi giorni dallo sciopero globale per il futuro della terra, in prossimità dell’inizio della primavera, è tempo di bilanci. Anche perché, in fin dei conti, il mese di febbraio ci ha lasciato un indicatore mica male (purtroppo): sulla base delle statistiche in tempo reale sui cambiamenti climatici, l’ultimo febbraio è stato uno dei mesi più caldi di sempre per l’Italia,

A sostenerlo è una ricerca che Il Sole 24 Ore ha scelto di rappresentare nella sua interezza in occasione del progetto “Qualità della vita”, avviato alla fine degli anni 90 dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) in collaborazione con l’università di Milano (UmiMi).

È così emerso che rispetto all’anno 1800 l’Italia oggi è più calda di 2,3 gradi in media, con la temperatura che risulta essere salita soprattutto durante la stagione estiva che, dunque, è la stagione che ha risentito maggiormente del riscaldamento climatico in corso.

Sono ancora i dati del progetto 2019 di Qualità della vita a informarci del fatto che l’impennata del rialzo delle temperature medie si è concentrata soprattutto dopo il 1980: di fatti, da questa data in poi i termometri medi italiani hanno segnato in media mezzo grado in più per ogni decennio. Una escalation preoccupante, per la quale non sembrano esserci battute d’arreso o rallentamenti.

Ancora, il quotidiano economico finanziario ci informa che dalle serie climatiche rilevate e analizzate emerge che, anche in Italia, il 2018 è stato l’anno più caldo mai registrato dal 1800. In particolare, l’anomalia è stata di 1,58 °C sopra la media del periodo di riferimento ­1971 – 2000 (ovvero, la media di lungo periodo utilizzata per calcolare in modo scientifico le variazioni).

Un dato preoccupante che, però, non sembra essere sufficiente per poter generare la giusta attenzione nei confronti di questo aspetto.